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I figli sono coinvolti pienamente nel processo di disgregazione del nucleo familiare e, per emettere sentenze che riguardino la loro vita, così come in presenza di posizioni conflittuali tra i genitori, l’ascolto dei minori si rivela fondamentale affinché il giudice possa assumere decisioni ponderate che tengano conto anche del parere del diretto interessato e che siano finalizzate alla sua tutela.

La sua opinione, naturalmente, deve essere presa in considerazione, da parte del giudice, in funzione della sua età, della sua maturità e della sua capacità di discernimento.

Già nel 1989 la Convenzione di New York, all’art. 12, sanciva il diritto del fanciullo capace di discernimento di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo riguardi.

Così, anche la Carta Europea dei diritti fondamentali (c.d. Carta di Nizza, dicembre 2000), all’art. 24, ribadiva il punto.

C’è da ricordare, poi, che la Convenzione di Strasburgo del 1996 (ratificata con L. 20 marzo 2003 n. 77) riconosce il diritto del minore, avente capacità di discernimento, a ricevere ogni informazione pertinente il suo caso, ad essere consultato e a poter esprimere la propria opinione e ad essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica.

Dopo aver ribadito l’importanza dell’ascolto del minore (L. 54/2006), la legislazione italiana ha inserito nella L. 219/2012 il diritto del figlio che abbia compiuto i 12 anni di età, o di età inferiore se capace di discernimento, ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

La riforma della filiazione (d. lgs. 154/2013), inoltre, ha introdotto la regola dell’audizione del minore per i provvedimenti che lo riguardano, poiché il giudice è tenuto ad adottare i provvedimenti relativi ai figli con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale di questi (artt. 337ter c.c., riformato dalla Cartabia e 227 octies c.c. abrogato dal decreto legislativo n. 149/2022, come modificato dalla Legge 197/2022).

Giuridicamente, dunque, l’ascolto del minore diventa il presupposto affinché i provvedimenti giudiziari che lo riguardano non siano affetti da vizi procedurali.

Con la Riforma Cartabia sono state previste norme specifiche che riguardano sia l’ascolto del minore che la mediazione, ponendo quest’ultima espressamente nel codice di procedura civile.

Si tratta dell’art. 473bis.10 del Codice civile, il quale dispone che il giudice possa, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle, se lo ritengano, a rivolgersi ad un mediatore.

Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, ottenuto il consenso delle parti, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 473 bis 22 per consentire che si possa tentare una mediazione volta soprattutto a tutelare l’interesse morale e materiale dei figli.

Ciò non sarà possibile (art. 473 bis.43) nel caso in cui sia stata pronunciata una sentenza di condanna o l’applicazione della pena, anche in primo grado, nel caso penda un procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’art. 415 bis c.p.p., o per condotte di abusi familiari o di violenza domestica o di genere e se queste condotte emergano in corso di causa.

Tale riforma ha anche precisato nei dettagli la procedura, inserendo due norme specifiche.

L’articolo 473bis.4 c.p.c. che dispone che il minore che abbia compiuto 12 anni o più piccolo, ma capace di discernimento, venga ascoltato dal giudice ogni volta che debbano essere emanare provvedimenti che lo riguardano.

Viceversa può non essere ascoltato dal giudice, che deve motivare questa decisione con apposito provvedimento, nel caso in cui l’ascolto sia in contrasto con il suo interesse o se manifestamente superfluo, se il minore è impossibilitato per problematiche fisiche o psichiche, oppure se il minore manifesta la volontà di non essere ascoltato.

L’art. 473bis.5 c.p.c. che si occupa delle modalità di ascolto del minore, ossia se il giudice possa procedere in autonomia o con l’assistenza di esperti e ausiliari e che debba tenersi, se possibile in locali idonei, diversi dalle aule del Tribunale.

Si deve stabilire, poi, quali saranno i temi di discussione e i difensori, nonché il curatore speciale, possono chiedere di approfondire certi temi.

L’eventuale partecipazione diretta dei figli agli incontri di mediazione familiare condotti da professionisti formati nel campo psicologico, ha, accanto ad alcuni aspetti certamente positivi, una serie di rischi che, anche se valutati preventivamente, potrebbero comunque manifestarsi e che fanno propendere, nella stragrande maggioranza dei casi ad escluderli. Ad esempio, i figli potrebbero trovarsi ad assistere a nuove discussioni tra i genitori per il raggiungimento degli accordi. Oppure, i genitori potrebbero non sentirsi liberi di esprimere completamente le loro esigenze e le loro perplessità in presenza dei figli. Questi ultimi, poi, potrebbero essere sottoposti a pressioni durante l’incontro, per favorire il punto di vista dell’uno o dell’altro genitore o percepire sminuita l’autorità genitoriale.

La loro presenza agli incontri di mediazione sarebbe invece da contemplare in casi laddove il mediatore ritenga opportuno sentire la loro opinione in caso di conflittualità difficilmente gestibile o di poca chiarezza circa le reali necessità dei figli stessi.

Dott.ssa Paola Grandinetti
Mediatore Familiare

Una ordinanza, quella in commento, temporanea (cioè assunta ai sensi dell’art. 473 bis N. 22 Cod. Proc. Civ.) che dispiega una disamina attenta, da parte di questo magistrato, degli equilibri di una famiglia e che merita menzione particolare.

Rileva, difatti, il magistrato che le richieste dei genitori sul tempo da trascorrere con i loro figli non sono molto distanti: su base bi-settimanale, difatti, la madre chiede una ripartizione 8/6 (in suo favore) mentre il padre chiede che il tempo venga ripartito equamente (7/7 gg ognuno).

Da tale prospettiva, il giudice fa discendere che in tali casi il concetto di “collocamento” perde di significato non emergendo una figura genitoriale prevalente in senso stretto.

Valuta, poi, quel magistrato che l’assegnazione non è un diritto ma è funzionale al benessere dei figli ed incide sulla determinazione dell’assegno di mantenimento.

Orbene, nel caso in esame, il padre è l’unico in famiglia a lavorare e sebbene abbia uno stipendio di buon livello (3.000,00€/mese) una assegnazione della casa all’uno o l’altro comporterebbe spese ulteriori che distrarrebbero risorse dai figli.

Di tal ché con l’ordinanza già menzionata veniva disposta l’alternanza dei genitori nella casa familiare paritaria (7 giorni ognuno) con un mantenimento per la moglie per sé stessa (di 250,00 € e per i figli 350,00 euro ognuno) in modo tale che i minori abbiano eguali condizioni di vita con l’uno e l’altra e, soprattutto, non debbano “fare le valigie” ogniqualvolta debbono cambiare genitore con cui andranno a stare.

La decisione appare equilibrata anche nell’invito alla coordinazione per consentire ai genitori di adeguare l’organizzazione materiale della vita propria e dei figli rilevando che, ove la situazione non evolvesse positivamente, potrebbero essere assunte decisioni più stringenti.

L’istituto dell’alternanza nella casa familiare (purtroppo) non è molto applicato ma, laddove possibile, deve essere valutato preventivamente poiché consente ai figli di non subire (o meglio di patire meno possibile) i disagi legati al diritto dei genitori di dividersi ricadendo sugli adulti la “seria e concordata organizzazione dei genitori a ciò funzionale” (Cass. 6810/23).

Alternativa, non dissimile, è la divisione dell’immobile laddove ciò sia praticabile o, come afferma la cassazione sia possibile “limitare l’assegnazione a quella parte di casa familiare realmente occorrente alle persone della famiglia, tenendo conto, nello stabilire le concrete modalità di assegnazione, delle esigenze di vita dell’altro coniuge e delle possibilità di godimento separato ed autonomo dell’immobile” (Cassazione Civile, sez. I, 17 dicembre 2009, n. 26586 T.c.Z. [RV 6110681]; Cass. Civ. sez. V-I, 11 aprile 2014, n. 8580. C.M. c. C.G. [RV 631071]).

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza 7838/2023 del Tribunale di Brescia

Finalità della Mediazione Familiare

  • offrire ai genitori un contesto strutturato in cui con l’aiuto del mediatore riescano a gestire il conflitto a vantaggio della capacità di negoziare gli accordi;
  • aiutare i genitori a cercare soluzioni più adatte alla specificità della loro situazione e dei problemi per tutti gli aspetti che riguardano la relazione affettiva ed educativa con i figli;
  • sostenere i genitori nella ricerca di accordi durevoli, puntando a una trasformazione della loro relazione e non soltanto alla ‘soluzione’ di un problema contingente.

Obiettivi della Mediazione Familiare

  • garantire la continuità dei legami genitoriali per il mantenimento di stabili e significativi rapporti dei figli con entrambi i genitori;
  • incentivare la responsabilità congiunta nelle decisioni da prendere per i figli;
  • raggiungere l’equilibrio doveri/diritti dei genitori verso i figli;
  • facilitare la comunicazione tra i genitori nella gestione dei figli;
  • stimolare la collaborazione dei genitori nella gestione dei figli;
  • ricreare un clima di fiducia che permetta di mantenere un livello di rispetto reciproco tra i genitori.

Bibliografia: “Mediazione Familiare: il giudice, l’avvocato e il mediatore” di Gloria Servetti, Daniela Rodella, Chiara Vendramini, Officina del Diritto – Giuffrè Francis Lefebvre Editore

La Mediazione Familiare è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio.

Il mediatore familiare, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori, insieme, elaborino in prima persona un programma di separazione, che tenga conto degli aspetti psicologici, relazionali, patrimoniali e organizzativi, soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale.

Rispetto al recente scenario in cui i riferimenti alla Mediazione Familiare sono stati disorganici, la Riforma Cartabia sistematizza e dà valore alla Mediazione Familiare quale risorsa per la gestione della conflittualità tra genitori che affrontano la vicenda separativa, siano essi legati da vincolo matrimoniale o no, e lo fa nell’ambito di un più ampio disegno di introduzione di un rito unico che verrà trattato avanti ad un tribunale unico specializzato.

La Mediazione Familiare è un percorso di costruzione e di gestione della vita tra i membri di una famiglia per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione, sia la coppia sposata o convivente, o al divorzio. Il percorso si svolge alla presenza di un terzo indipendente e imparziale, il mediatore familiare che, con una preparazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, accompagna i genitori, debitamente informati e liberamente consenzienti, verso una finalità concordata innanzitutto tra loro.

Il mediatore facilita il confronto tra i genitori su tutti gli aspetti relativi alle relazioni con i figli (ad esempio educazione, istruzione, salute, mantenimento, tempo libero, frequentazioni, organizzazione della presenza di ciascuno accanto ai figli) e su altri temi oggetto di disaccordo (quali, ad esempio, le questioni economiche) in modo che siano i genitori stessi, in prima persona, a elaborare un programma di separazione soddisfacente per loro e per i figli in cui poter esercitare la comune responsabilità genitoriale.

In questo lavoro il mediatore, in una serie limitata di incontri (circa 10-12), facilita la comunicazione tra i genitori accompagnandoli e sostenendoli nella ricerca di soluzioni realistiche, favorisce la collaborazione, la negoziazione e lo scambio costruttivo tra loro, astenendosi da qualsiasi compito valutativo o interpretativo. La sua azione è unicamente compositiva, aiutando i genitori a passare dal piano dello scontro a quello del confronto.

Bibliografia: “Mediazione Familiare: il giudice, l’avvocato e il mediatore” di Gloria Servetti, Daniela Rodella, Chiara Vendramini, Officina del Diritto – Giuffrè Francis Lefebvre Editore