Autore: Francesco Tesoro

La frequentazione paritaria è una scelta residuale (come parrebbe leggendo l’ordinanza in commento) o tendenziale (come afferma la stessa Corte di Cassazione)?

L’ordinanza in commento pone un nuovo tassello nel mare magnum delle pronunce affidative che è degna di nota poiché, a mio parere, confermativa del noto adagio di Tomasi di Lampedusa.

Da una parte, difatti, ribadisce la Corte, che la frequentazione paritaria ha natura “tendenziale senza che ciò possa costituire lesione della bigenitorialità”, dall’altra afferma che siccome il minore all’esame dei Servizi – cui veniva demandato accertamento – stava bene (leggasi: il collocamento materno sta funzionando garantendo al minore il giusto supporto concreto, psicologico, buona educazione e adeguata crescita), l’aumento della frequentazione richiesta dal padre (ed invero accolta dal minore tredicenne) poteva essere solo “cauto”.

L’assunto, apparentemente coerente, espone il limite di non ammettere, sin della fase degli accertamenti dei servizi sociali, alcuna alternativa concettuale al collocamento prevalente (che, come noto, predilige il permanere ad libitum una frequentazione più ampia con l’ambito materno di quanto non sia con quello paterno) limitando così le diverse alternative che, per mera ipotesi, potrebbero essere migliorative.

La pronuncia, quindi, non coglie il senso della doglianza (forse anche perché espressa male): cosa dovrebbe far tendenza al paritario (che ha appunto natura tendenziale) e per quale motivazione concreta il giudice di merito dovrebbe individuare un assetto diverso?

Parrebbe, nel leggere l’ordinanza che la motivazione del giudice di merito confermata dalla Corte, sia la funzionalità dell’assetto prevalente; mancherebbe, tuttavia, una disamina prognostica che escluderebbe il partitario (correlato all’affido condiviso che a detta degli ermellini andrebbe “tendenzialmente” applicato).

Scriveva, ad esegesi della normativa la stessa Corte di Cassazione, nel 2019 (ordinanza n. 28244/19 depositata il 4 novembre): “l’individuazione del genitore affidatario e/o collocatario deve avvenire in base ad “…un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo”, basato su elementi concreti, quali le “…modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore”.

Principio, quello testé enunciato, che non appare smentito da pronunce successive.

Per le ragioni che ho espresso, riterrei più adeguato un apprezzamento completo dei due ambiti (materno e paterno) onde consentire al giudice di merito la valutazione prognostica che gli compete, piuttosto che un accertamento di residualità di ipotesi paritetiche ai soli casi di malessere dei minori in assenza dei quali bisogna essere cauti (o parchi) nel lasciare che figlio e padre stiano di più assieme.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 22083/2024

Una ordinanza, quella in commento, temporanea (cioè assunta ai sensi dell’art. 473 bis N. 22 Cod. Proc. Civ.) che dispiega una disamina attenta, da parte di questo magistrato, degli equilibri di una famiglia e che merita menzione particolare.

Rileva, difatti, il magistrato che le richieste dei genitori sul tempo da trascorrere con i loro figli non sono molto distanti: su base bi-settimanale, difatti, la madre chiede una ripartizione 8/6 (in suo favore) mentre il padre chiede che il tempo venga ripartito equamente (7/7 gg ognuno).

Da tale prospettiva, il giudice fa discendere che in tali casi il concetto di “collocamento” perde di significato non emergendo una figura genitoriale prevalente in senso stretto.

Valuta, poi, quel magistrato che l’assegnazione non è un diritto ma è funzionale al benessere dei figli ed incide sulla determinazione dell’assegno di mantenimento.

Orbene, nel caso in esame, il padre è l’unico in famiglia a lavorare e sebbene abbia uno stipendio di buon livello (3.000,00€/mese) una assegnazione della casa all’uno o l’altro comporterebbe spese ulteriori che distrarrebbero risorse dai figli.

Di tal ché con l’ordinanza già menzionata veniva disposta l’alternanza dei genitori nella casa familiare paritaria (7 giorni ognuno) con un mantenimento per la moglie per sé stessa (di 250,00 € e per i figli 350,00 euro ognuno) in modo tale che i minori abbiano eguali condizioni di vita con l’uno e l’altra e, soprattutto, non debbano “fare le valigie” ogniqualvolta debbono cambiare genitore con cui andranno a stare.

La decisione appare equilibrata anche nell’invito alla coordinazione per consentire ai genitori di adeguare l’organizzazione materiale della vita propria e dei figli rilevando che, ove la situazione non evolvesse positivamente, potrebbero essere assunte decisioni più stringenti.

L’istituto dell’alternanza nella casa familiare (purtroppo) non è molto applicato ma, laddove possibile, deve essere valutato preventivamente poiché consente ai figli di non subire (o meglio di patire meno possibile) i disagi legati al diritto dei genitori di dividersi ricadendo sugli adulti la “seria e concordata organizzazione dei genitori a ciò funzionale” (Cass. 6810/23).

Alternativa, non dissimile, è la divisione dell’immobile laddove ciò sia praticabile o, come afferma la cassazione sia possibile “limitare l’assegnazione a quella parte di casa familiare realmente occorrente alle persone della famiglia, tenendo conto, nello stabilire le concrete modalità di assegnazione, delle esigenze di vita dell’altro coniuge e delle possibilità di godimento separato ed autonomo dell’immobile” (Cassazione Civile, sez. I, 17 dicembre 2009, n. 26586 T.c.Z. [RV 6110681]; Cass. Civ. sez. V-I, 11 aprile 2014, n. 8580. C.M. c. C.G. [RV 631071]).

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza 7838/2023 del Tribunale di Brescia

È balzata alle cronache la recentissima ordinanza della Cassazione (11/07/2024, n. 19069) che nel giudicare inammissibile il ricorso di un papà avverso la decisione della corte d’appello di Ancora, valutava come coerente la sentenza impugnata laddove comunque prevedeva 8 ore di convivenza la settimana (quindi, poco più di un giorno al mese) senza pernotti sino ai tre anni.

Sosteneva, nel ripercorrere la vicenda, la Corte di cassazione che la corte d’appello aveva comunque previsto una evoluzione della frequentazione che, dai tre anni del minore, avrebbe potuto restare a dormire dal padre; sia pure nella misura esigua di due volte a settimana.

Ebbene, nel leggere questa sentenza, che comunque contrasta con una precedente in cui si affermava il contrario (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 1 – 28 luglio 2020, n. 16125), ho fatto due considerazioni: la prima processuale dato il rigetto per inammissibilità e la seconda di merito data la conferma del diniego ai pernottamenti.

Quanto alla prima mi è tornata alla mente una sentenza della Corte Costituzionale (sent. 185/1986) che nel decidere sulla obbligatorietà della nomina di un curatore speciale (un avvocato) per i minori nei giudizi di separazione e divorzio argomentava che nei giudizi riguardanti i minori, i valori costituzionali, quali gli artt. 30 e 31 Cost., debbono essere interpretati avendo presente la tutela dei diritti fondamentali, e ciò si deve tradurre nell’impegno pubblico a rimuovere ogni ostacolo allo sviluppo della personalità stessa; impegno che nei processi affidativi si indirizzano anche al minore.

Ebbene, afferma ancora la Corte Costituzionale, che nei procedimenti contenziosi relativi allo scioglimento del matrimonio ed alla separazione dei coniugi s’inserisce un giudizio di volontaria giurisdizione che conferisce amplissime facoltà istruttorie del giudice oltreché il potere del collegio di decidere, in ordine ai provvedimenti relativi alla prole, ultra petitum; ossia oltre le richieste delle parti.

Ci si chiede, dunque, se la stessa Corte di cassazione, prim’ancora di entrare nella disamina dei requisiti procedurali di procedibilità della domanda (del ricorso di cassazione in tal caso) avrebbe dovuto applicare i principi costituzionali di tutele sostanziali del minore.

La seconda questione è data dal contenuto delle scelte operate dalla C.A. di Ancona che, per carità, non potrebbero mai trovare una terza disamina di merito in cassazione ma nemmeno si può sottacere che la decisione del secondo grado sia corretta in quanto coerente con i principi della scienza e del diritto.

Scriveva il prof. Giovanni Bollea, “padre” della neuropsichiatria infantile, che i neonati, già all’età di due mesi distinguono il padre dalla madre e reagiscono all’interazione fisica con l’uno o con l’altro in modo differente.

Con il progredire dell’età, la madre avrà precipuamente il compito di costituire base sicura ed il padre avrà la funzione di favorire nel bambino il suo continuo lavoro di adattamento al mondo esterno, imitando il padre ed accettandone o meno le imposizioni; non solo, il padre si delinea come una figura insostituibile negli equilibri educativi, nella formazione dell’identità, nello sviluppo dell’autostima e nell’orientamento sessuale del piccolo.

Indispensabile -perché ciò avvenga- è il cosiddetto “attaccamento sicuro” che si sviluppa nei primi tre/quattro anni di vita dei bambini (nei primi 3/4 anni e non già dopo) verso l’uno e verso l’atro genitore mediante la condivisione delle esperienze di vita.

La fase della primissima infanzia, ossia quella che va dalla nascita ai quattro anni è -notoriamente- la fase della cosiddetta costituzione del “legame di attaccamento”.

Il caregiver (ossia il legame di attaccamento) viene definito come la relazione di lunga durata, emotivamente significativa, con una persona specifica (Schaffer, 1998) e, nello sviluppo dei minori tra 0 e 4 anni, ha la “funzione biologica” di proteggere il bambino e la “funzione psicologica” di fornire sicurezza (Bowlby, 1983).

Numerose ricerche mediche dimostrano che il forte impatto che la qualità di questo legame ha sullo sviluppo futuro del bambino, sia per le sue capacità cognitive che lo sviluppo cerebrale, tanto per la sua salute mentale, quanto per la formazione di future relazioni.

Dette ricerche scientifiche dimostrano altresì, che l’insicurezza nell’attaccamento, costituisce un fattore predisponente per l’insorgenza di alcuni disturbi psicologici, con esordio soprattutto in adolescenza, tra i quali l’ansia (e.g., Colonnesi et al., 2011), la depressione (e.g., Lee & Hankin, 2009), i disturbi alimentari (e.g., Monteleone et al., 2018) e nei casi più gravi anche i disturbi psicotici (e.g., Carr et al., 2018).

È stato, quindi, dimostrato scientificamente che la presenza costante ed equilibrata di entrambi i genitori costituisce un fattore di protezione imprescindibile per i minori nella prima infanzia.

E dunque, la decisione della Corte d’Appello di Ancora, contrasta con il precedente della Corte di Cassazione e, più, con le dimostrazioni scientifiche summenzionate.

Perché quindi, la Corte d’Appello (e più in generale tanti tribunali in Italia) ha disposto i pernotti solo dai tre anni in poi? Forse per la rappresentazione aprioristiche secondo cui la notte i bambini a volte hanno paura del buio e, quindi, in assenza della madre il bambino di cui ci si occupa, dormendo col padre, potrebbe soffrirne?

Vediamo cosa dice la scienza a proposito della paura del buio nei bambini. L’acluofobia è una sensazione di angoscia, o forte disagio, che una persona percepisce quando si ritrova in ambienti oscuri. Conosciuto anche come “nictofobia”, questo disturbo fobico è abbastanza comune tra i bambini, mentre è meno diffuso negli adulti.

L’esordio della paura del buio tipicamente si colloca tra i 3 ed i 5 anni e si può presentare associata ad altre tipiche paure dell’età prescolare quali la paura dei mostri, delle streghe e dei pericoli o dei fenomeni atmosferici.

Dunque, la decisione della Corte d’Appello di Ancona, confermata in cassazione non è coerente nemmeno con questa lettura scientifica poiché fa iniziare i pernottamenti con il padre al compimento dei tre anni di età; ossia, proprio quando possono ingenerarsi nei bambini i sentimenti (assolutamente normali e ricorrenti) di angoscia per il buio.

In verità, credo, che i vari magistrati cadano nell’errore che pure molti genitori compiono credendo che la loro funzione primaria sia quella di impedire ogni esperienza negativa ai loro figli.

In effetti, e questo lo credo fortemente, non è così. Io credo che i genitori debbano lasciare camminare da soli i bambini sin dalla loro “tenera età” accettando che questi potranno cadere e sbucciarsi il ginocchio. Il loro compito è quello di esser loro vicini qualora ciò accadesse accogliendo l’iniziale insuccesso dei loro bambini, disinfettando l’abrasione e favorendo subito un nuovo tentativo.

Solo così quel bambino costituirà con quel genitore, che gli è a fianco nel suo incedere, un legame sicuro che, a sua volta, costituisce fattore di crescita serena e naturalmente orientata alle sue attitudini.

La parola d’ordine, quindi, non è avere paura (del buio o di qualsiasi altra cosa) ma è essere vicini quando qualsiasi cosa (bella o brutta) accade: questa è la giusta relazione, e per questa relazione ci vuole tempo (non ore; due o tre alla settimana).

Obbligo dei giudici è informarsi sulle leggi (scientifiche) che governano la crescita dei bambini e offrire ai genitori la possibilità di curare la relazione con i loro figli (sia con il buio che con la luce).

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 19069/2024

Una delle domande più frequenti che mi sento rivolgere è: “oltretutto quello che verso ogni mese, mi chiede tot per spese di (…); gliele devo?”.

Ebbene, sappiate che questioni più dibattute, nella materia minorile, sono quelle create dalla giurisprudenza per rispondere alla domanda di giustizia da indisciplina (carente la normativa o presupponenza soggettiva); si pensi alla figura del genitore collocatario (non presente nella normativa ma praticamente onnipresente nella pratica), si pensi, ancora alle spese straordinarie contestate da uno dei genitori [spese straordinarie che assumono plurime colorazioni e che discendono da questo concepimento giurisprudenziale chiamato mantenimento straordinario volto ad adattare un elemento immutabile (l’assegno periodico) a ciò che è mutevole (le necessità di un bambino in crescita)].

Sappiamo, e questo è codificato, che i genitori debbono provvedere alle necessità del figlio e che lo debbono fare secondo le proprie risorse accompagnando le inclinazioni naturali del minore man mano che esse emergono.

Tuttavia, le fasi della vita di un minore, dalla nascita alla maturazione (fisica, psicologica, legale) sono davvero tante: Piaget, uno psicologo (oltreché filosofo, pedagogista e biologo svizzero) a metà del secolo scorso ne individuò bel 5: la prima infanzia (da zero a due anni); la seconda infanzia (da due a sei anni); la fanciullezza (da sei a dieci anni); la preadolescenza (da dieci ai 14); l’adolescenza (dai 14 ai 18 anni).

Dunque, ogni fase il minore rappresenterà, via via, esigenze ed inclinazioni crescenti e diverse.

Come prevederle tutte anticipandone l’ammontare per poi ripartirlo di mese in mese? Ebbene, non si può.

La genitorialità, con le responsabilità che comporta, è un esercizio dinamico e lo è assai più dell’incedere giudiziario di un processo e, spesso, della stessa duttilità dei genitori separati a rivedere mansioni e contribuzioni.

La soluzione è data dalla prassi: afferma la giurisprudenza che sono straordinarie, salvo altro accordo dei genitori (in pratica le elencazioni più o meno complete all’atto di accordo o richiamo di protocolli in uso nei vari tribunali), quelle che al momento della decisione non erano prevedibili, ponderabili e che -per ammontare rilevante- costituiscono uno squilibrio al principio di proporzionalità che regolamenta la ripartizione tra genitori secondo proprie possibilità degli obblighi di mantenimento.

Ma la giurisprudenza è agamica, genera sé stessa sulla base degli stessi propri precedenti e non finisce di moltiplicare (senza necessità); e così, le spese straordinarie non sono tutte uguali ma si differenziano tra quelle che, pur prevedibili (spese straordinarie routinarie) non sono previamente quantificabili, dalle altre (spese propriamente straordinarie) che non sono prevedibili né nella loro verificazione, né nel loro ammontare.

Mentre le prime spese straordinarie saranno recuperabili già con il titolo decisorio già emesso (ad esempio la sentenza di separazione o di divorzio), le seconde lo saranno solo con nuova domanda giudiziaria (causa ordinaria).

Elemento comune alle spese straordinarie sarà, in ogni caso, la rilevanza ossia la capacità di queste di incidere sull’equilibrio di proporzionalità che ripartisce l’obbligo di mantenimento tra i genitori.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 7169/2024

Quanto pesa la relazione tra un bambino ed un genitore (sociale) per la legge?

Decisamente molto.

L’ordinanza in commento è una esegesi puntuale di una condizione umana, quella della bambina del cui futuro si decide, che ha trovato nella nuova unione familiare della madre con il suo nuovo compagno di vita, due figure genitoriali (madre appunto e padre sociale) accudenti e accoglienti.

La madre, difatti, dopo il naufragio della prima unione con il padre biologico della bambina, conveniva a nozze e così costituiva un nuovo nucleo che per la bambina costituiva contesto naturale di crescita. Sullo sfondo, cupo, restava il padre biologico che non si occupava della figlia; né dal punto di vista affettivo, né dal punto di vista economico.

Il padre, per così dire, sociale, faceva così domanda di adozione [disciplinati ex art. 44 lett. b) legge 184/1983 per i casi particolari]; domanda che trovava accoglimento sia in primo che in secondo grado.

Con l’ordinanza in commento la corte di cassazione ha stabilito che l’adozione (nei casi particolari) non è ostacolata dal dissenso del genitore biologico, in tal caso privato anche della responsabilità genitoriale per il suo disinteresse, poiché a prevalere sono i best interests of the child (i migliori interessi che la Convenzione dei Diritti del Fanciullo richiama) che nel caso in esame sono costituiti dal diritto del minore a vivere in un contesto familiare pieno ed equilibrato da due figure genitoriali egualmente accudenti.

Notoriamente, difatti, i bambini acquisiscono -da padre e madre secondo le specifiche di ognuno in base al sesso ed alle attitudini personali- base sicura di costituzione dell’IO.

Né osta all’adozione il dissenso del genitore biologico quando esso è marginale rispetto i sunnominati interessi o, peggio, immotivato.

Afferma, ancora la corte che non è necessaria la nomina di un curatore speciale per il minore giacché questa figura professionale è indispensabile nei casi di contrasto (anche solo ipotetico) di interessi tra il genitore rappresentante il minore in giudizio e le altre parti in causa. Il curatore, quindi, va nominato dopo attenta valutazione delle possibili cause di contrasto tra i diversi interessi.

A prevalere, nel merito, sono, quindi, i migliori interessi del fanciullo.

L’adozione in casi particolari è uno strumento efficace di affermazione legale alla prevalenza delle relazioni umane tra un bambino ed un adulto sulla genitorialità meramente biologica. Un istituto che sempre più costituisce mezzo di costituzione del vincolo di cui le famiglie ricomposte potranno beneficiare.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 9939/2024

È noto a quanti si occupano della materia, la discrasia tra l’immediatezza delle necessità che può avere un minore e la flemma dell’incedere giudiziario gravato, peraltro, dalla atavica incapacità di rendere all’ambito in parola, la certezza giuridica che merita; parlo della possibilità di impugnare (o non impugnare rendendole così definitive) le decisioni che incidono sulla responsabilità genitoriale.

A corollario, tuttavia, si pone la nota sentenza della cassazione civile (n. 32359 del 13/12/2018; SS.UU.) secondo cui “l’emissione dei provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale incide, infatti, su diritti di natura personalissima e di rango costituzionale, tenuto conto del potenziale concreto mutamento della sfera relazionale primaria dei soggetti che ne sono coinvolti: la circostanza che tali provvedimenti possano, in teoria, esser modificati o revocati con effetti ex tunc non pare al Collegio idonea a porre il soggetto che li subisca al riparo dagli effetti nefasti che possano medio tempore prodursi nell’ambito delle relazioni familiari, sicchè, tenuto conto del potenziale grado d’incisività di tali effetti sui diritti dei soggetti implicati e principalmente sulla vita del minore, la tesi tradizionale che, ritenendoli non decisori e definitivi, esenta siffatti provvedimenti dall’immediato controllo garantistico di questa Corte comporta un vulnus al diritto di difesa e va, dunque, superata”.

Nel decreto in commento, ossia quello impugnato avanti la corte d’appello, si dispongono però accertamenti ad ampio spettro: risorse familiari, accertamenti di servizi sociali, sostegni genitoriali e terapeutici per tossicodipendenze. Quindi accertamenti propri di una fase istruttoria in cui, vero, la responsabilità genitoriale materna è sospesa in favore del servizio sociale stesso.

Lamentano, i nonni materni, di essere stati esclusi dalla decisione di temporanea sospensione ben potendo loro accogliere mamma e minore (come di fatto dichiaravano di fare sino ad allora).

Ebbene, da giurista, non posso non esprimermi in favore della corte d’appello ritenendo che questa abbia ben giudicato nel ritenere che la fase processuale aventi il TM non sia definitiva e che, perciò, nulla sia ancora impugnabile.

Nel merito, tuttavia, debbo esprimere una certa perplessità laddove nella stessa decisione provvisoria si persegue un collocamento del minore -con la madre- presso una struttura terapeutica (comunità di recupero per tossicodipendenti) quando, forse, sarebbe stato più opportuno un provvedimento di custodia del minore ai nonni separando così la figlia dalla madre (tossicodipendente) la quale, peraltro, nella relazione del SS (3.5.24) appare già da subito incapace di occuparsi della figlia che a tratti allontana affidandola agli operatori.

È legittimo, quindi, attendere che il TM faccia buona pratica della nomofiliachia di cassazione nel valutare le risorse della famiglia allargata (i nonni).

La stessa cassazione, difatti, in un procedimento analogo per alcuni aspetti, imponeva, disamina degli ambiti parentali più prossimi (i nonni appunto) onde conservare al minore i legami con la famiglia di origine con un affido endo-familiare (anche temporaneo se del caso) in attesa di valutare l’eventuale recupero dei genitori (Cass. Civ. 28257/19).

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Corte di Appello di Milano 16/05/2024

L’Ordinanza in commento è rilevante per due ordini di ragioni che in essa vengono affrontati: “il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti” (art. 317 bis Cod. Civ.) e l’ascolto dei minori.

Quanto al primo argomento, la corte non si discosta dall’orientamento degli ultimi anni riconoscendo essa nella norma un diritto affievolito dalla lettura parziale dell’interesse dei minori.

Afferma difatti, la cassazione, che il diritto dei nonni è funzionale all’interesse dei minori (da identificarsi nel preciso vantaggio di una relazione gratificante e soddisfacente non già nell’assenza di ogni pregiudizio) e che, nel caso di specie, la conflittualità della coppia genitoriale, peraltro recrudescente proprio al momento del reinserimento dell’ascendente, consigliava un monitoraggio psicologico della bambina che, da quella conflittualità, era coinvolta.

L’inserimento della nonna era inopportuno anche perché mancava, nella minore, una mentalizzazione dell’ascendente che era assente dalla sua vita sin dal divorzio dei genitori.

Ebbene, pur comprendendo bene le ragioni espresse dalla corte di cassazione, emerge -a chi scrive- l’evidenza: la bambina aveva perso -sin dal divorzio- i contatti con la nonna tanto da non averla “mentalizzata” nella sua vita di relazione ed ora, perdurando la conflittualità tra i genitori esattamente (o più di quanto fosse al tempo del divorzio), non era il caso di inserirla ridondando più i rischi che i vantaggi.

Una autocelebrazione del fallimento del processo affidativo-divorzile che pecca, però, della supponenza elevata a supremo interesse (del minore).

Il processo divorzile-affidativo, con le innumerevoli sfumature di grigio che la sua declinazione pratica assume, è (o dovrebbe essere) una attenta valutazione non già del supremo interesse ma della ponderazione dei migliori interessi che compongono la vita di relazione del minore. Ogni errore, dato -in Italia- per lo più da misure stereotipate (già sanzionate dalla CEDU innumerevoli volte; per tutte: sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 22 aprile 2021 – Ricorso n. 41382/19 – Causa R.B. e M contro l’Italia) comporta conseguenze il più delle volte irreparabili (come la stessa cassazione riconosce: Ord. 643/2023 richiamando, bontà sua, la CEDU).

Nel caso in esame, il diritto che appare compromesso (non esaminato e nemmeno citato) è quello del minore a sviluppare la sua identità sociale e relazionale attraverso le sue origini biologiche (ascendenti): è noto che ognuno di noi si definisce attraverso un processo di auto-riconoscimento in relazione con gli altri. Il fatto, in buona sostanza, che la minore non abbia mentalizzato la figura della nonna è il danno al suo sereno sviluppo non la causa che ne sconsiglia il ripristino della relazione.

Né è possibile individuare elementi positivi (vantaggio di relazione gratificante e soddisfacente) nell’eventuale relazione laddove non c’è relazione.

Quanto al secondo argomento in commento, ossia il diritto dei minori di essere ascoltati, è noto -e fa bene la corte di cassazione a ricordarlo a sé stessa- che è un diritto imprescindibile (per i minori capaci di discernimento) ed ove venisse violato comporterebbe la nullità del processo.

Ma è nella declinazione pratica che i diritti devono trovare applicazione e non solo nei proclami.

Nel caso in esame la minore, afferma la cassazione, giustamente non veniva ascoltata per i rischi di vittimizzazione secondaria.

Nell’esperienza di chi scrive l’ascolto, di per sé, non comporta rischi. Si immagini un bambino che nella vita di tutti i giorni viene costantemente in contatto con la conflittualità genitoriale (come in questo caso) e, in queste condizioni, subisca pressioni, influenze ideologiche, suggestioni. E poi si immagini un setting d’ascolto neutro, con personale qualificato (psicologo, sociologo o magistrato qualificato) in cui il minore può esprimersi lasciandosi sfuggire, dai condizionamenti esterni, qualche informazione sulle proprie ambizioni, desideri, opinioni.

Dica chi legge se i rischi sono dati dall’ascolto o dalla riduzione al silenzio che la pratica giudiziaria attribuisce a quei casi (di elevata conflittualità genitoriale) dove più che in altri, il minore avrebbe diritto di parola (giusta o sbagliata che sia) sulla sua vita.

Si ritiene che l’elevazione di un supremo interesse sia spesso foriero di soppressione dei tanti migliori interessi.

E’ doverosa infine, una chiusa sulla dicotomia tribunale ordinario – tribunale per i minorenni che attribuisce al primo la maggior parte dei processi affidativi tra i genitori ed al secondo -come nel caso in esame- la regolazione delle relazioni con i nonni.

Chi scrive non vede necessità di ripartizione, anzi, pericoli di sovrapposizione e di ritardi nell’assunzione di decisioni uniformi. Non a caso il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (il 17 novembre 2010) sollecitava, tra l’altro, decisioni solerti quando si tratta di procedimenti coinvolgenti i minori.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 10250/2024

Si perviene alla disamina della pronuncia in parola che attiene ad un argomento assai frequente nelle dispute familiari: l’iscrizione scolastica ed il contrasto di opinioni tra genitori.

Secondo l’assunto della madre, ricorrente in cassazione, la scelta operata in appello non era maturata per confronto di offerte tra gli istituti proposti dai genitori, la distanza ed i costi (ella avrebbe preferito la scuola pubblica in luogo di quella privata).

Lamentava, ancora, la madre che la scelta ricadente su una scuola religiosa avrebbe leso il diritto del minore alla laicità del figlio la cui audizione, però, dava conto del suo desiderio di continuare gli studi nella scuola (privata) che aveva frequentato in precedenza.

Afferma, la corte, che la scelta -nel contrasto di opinioni tra genitori- debba essere orientata al benessere del minore che, in virtù di precedente CTU, aveva lasciato comprendere il suo bisogno di continuità e di stabilità.

Precisa la corte, poi, che la decisione -di cui era stato investito il giudice del merito- non poteva essere levata a censura dinanzi la corte delle leggi (n.d.r. la cassazione) ma che, comunque, era ben orientata al benessere del minore che aveva il diritto di mantenere le amicizie e la socialità che aveva costruito nel ciclo scolastico appena concluso.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

Scarica l’Ordinanza della Cassazione n. 13570/2024

La sentenza della Corte di Cassazione n. 9442/2024 si pone come un tassello essenziale sul tema della ricorribilità dei provvedimenti di affido dei minori.

È noto, difatti, che in precedenza (ad es. Cass. 33612/2012 e 33609/2021) la Corte di cassazione si era pronunciata per la improcedibilità della devoluzione avanti ad essa corte poiché, così sosteneva, i provvedimenti di affido minori -non assumendo definitività- sarebbero sempre modificabili (Cass. SS. UU. n. 2953 del 1953).

Abbiamo, però, più volte assistito come principi ermeneutici della Corte abbiano trovato breccia.
Nel caso in esame la riflessione che è sopravvenuta è data, giustamente, a fare una ulteriore valutazione sul contenuto della decisione tesa a valorizzare la ricorribilità per ricorso straordinario laddove la posizione giuridica incida su diritti soggettivi fondamentali.

La fonte del diritto, nel nostro caso, è data dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed è quello della vita familiare suscettibile di essere leso da quelle statuizioni che possano essere tanto limitative o in contrasto con la forma di affido scelto (il più delle volte condiviso) da non consentire la cooperazione tra genitori nel prendersi cura dei figli.
In effetti, la Corte, afferma che il c.d. diritto di visita non sia un diritto (ecce homo) e che esso indichi unicamente il tempo in cui il genitore non convivente possa tenere con sé il figlio ed esprimere, in quel tempo, non una visita ma l’insieme della cura, accudimento ed educazione che la responsabilità genitoriale impone.

Ebbene, i cd “best interests of the child” della Convenzione dei Diritti del Fanciullo, maldestramente tradotta ed ancor peggio interpretata in Italia come il supremo interesse, è in effetti un equilibrato contemperamento dell’insieme degli interessi che, nella declinazione concreta che un giudice ha il dovere di compiere nel decidere ogni caso specifico, dovrebbe elevare -tra i diversi interessi del minore- i migliori; interests, non a caso, è un plurale.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dinanzi la quale il nostro Paese non a caso è stato più volte sanzionato, ha precisato che -ferma la libertà di ogni Stato di articolare nel concreto secondo il proprio ordinamento interno il diritto alla relazione familiare- non ci deve mai essere una compressione della relazione familiare oltre limiti minimi che possano comportare rischio di recisione della relazione stessa (cfr. Corte EDU, 4 maggio 2017 Improta c/ Italia; Corte EDU, 23 marzo 2017 Endrizzi c/ Italia; Corte Edu 23 febbraio 2017 D’Alconso c/ Italia; Corte Edu 15 settembre 2016 Giorgioni c/ Italia; Corte Edu 23 giugno 20165 Strumia c/ Italia;: Corte Edu 28 aprile 2016 Cimini c/ Italia).

La Corte Europea, dunque, ha precisato che il Paese membro debba garantire l’effettività della relazione (e della vita privata) non pronunciandosi con disposizioni stereotipate e intempestive poiché il semplice trascorrere del tempo può ledere i diritti al legame tra genitore e figlio.

Il principio anzidetto è stato recepito dalla Corte di Cassazione che ha ulteriormente elevato a principio nomofilattico l’assunto per cui il genitore non convivente ha il dovere-diritto a svolgere pienamente le sue funzioni di cura, educazione, istruzione ed assistenza morale anche nei cd pernottamenti dovendo comprendere ogni momento della vita.

È questa una decisione che ci lascia favorevoli giacché, come noto, un genitore non si spegne mai al calar del sole.

Avv. Francesco Angelo Tesoro

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Il reato di maltrattamenti in famiglia scatta anche per quelle condotte omissive che conducono al degrado nell’accudimento dei figli minori. La Corte di Cassazione, Sesta sezione penale, con la Sentenza n. 8617/2024, ha ritenuto integrato il reato di maltrattamenti in famiglia (572 c.p.) nel caso disinteresse e trascuratezza nei confronti dei minori da parte del genitore.

La decisione della Suprema Corte

La Corte d’Appello sceglie di riformare la sentenza assolutoria resa nel corso del giudizio abbreviato di primo grado, e condanna la madre imputata per il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) commesso ai danni dei due figli minori.

Valutando le dichiarazioni rese dai due figli minori, così come le annotazioni di servizio redatte in occasione dell’intervento degli agenti di polizia ed anche gli accertamenti svolti dagli Assistenti Sociali da cui discendeva la sospensione della potestà genitoriale per la madre, la condotta della donna dimostrava la configurabilità del reato di maltrattamenti.

Ad esempio i figli minori avevano riferito di essere stati frequentemente picchiati dalla madre, di essere stati costretti a dormire nel pomeriggio per poi seguirla fino a tarda notte in locali notturni. Altresì spesso si verificava che la madre, per effetto dell’abuso di sostanze alcoliche, non fosse in grado di occuparsi né dei figli minori, né tantomeno di sé, al punto tale che i figli minori rimanevano totalmente privi di assistenza, vivendo in uno stato di trascuratezza e abbandono.

La madre proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea valutazione della sua condotta, adducendo le responsabilità dei fatti esclusivamente sul disagio familiare profondo ed alla sua dipendenza dall’alcool.

La Corte di Cassazione, Sesta sezione penale, con sentenza n. 8617 del 27 febbraio 2024, riteneva il ricorso inammissibile.

Innanzitutto, secondo i giudici della Suprema Corte, il reato di cui all’art. 572 c.p. può essere integrato quando viene imposto ai figli (ancor più se minorenni) uno stile di vita inadatto all’età e allo sviluppo della personalità, connotato non solo dalle soventi violenze fisiche ma anche da un generale disinteresse verso l’accudimento.

In secondo luogo, abbracciando l’orientamento consolidato, i Giudici hanno ritenuto che il reato di maltrattamenti in famiglia possa essere integrato anche alla luce di omissioni da parte del genitore, tali da non provvedere all’assistenza e alla protezione del minore.

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