Giorno: 5 Settembre 2024

I figli sono coinvolti pienamente nel processo di disgregazione del nucleo familiare e, per emettere sentenze che riguardino la loro vita, così come in presenza di posizioni conflittuali tra i genitori, l’ascolto dei minori si rivela fondamentale affinché il giudice possa assumere decisioni ponderate che tengano conto anche del parere del diretto interessato e che siano finalizzate alla sua tutela.

La sua opinione, naturalmente, deve essere presa in considerazione, da parte del giudice, in funzione della sua età, della sua maturità e della sua capacità di discernimento.

Già nel 1989 la Convenzione di New York, all’art. 12, sanciva il diritto del fanciullo capace di discernimento di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo riguardi.

Così, anche la Carta Europea dei diritti fondamentali (c.d. Carta di Nizza, dicembre 2000), all’art. 24, ribadiva il punto.

C’è da ricordare, poi, che la Convenzione di Strasburgo del 1996 (ratificata con L. 20 marzo 2003 n. 77) riconosce il diritto del minore, avente capacità di discernimento, a ricevere ogni informazione pertinente il suo caso, ad essere consultato e a poter esprimere la propria opinione e ad essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica.

Dopo aver ribadito l’importanza dell’ascolto del minore (L. 54/2006), la legislazione italiana ha inserito nella L. 219/2012 il diritto del figlio che abbia compiuto i 12 anni di età, o di età inferiore se capace di discernimento, ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

La riforma della filiazione (d. lgs. 154/2013), inoltre, ha introdotto la regola dell’audizione del minore per i provvedimenti che lo riguardano, poiché il giudice è tenuto ad adottare i provvedimenti relativi ai figli con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale di questi (artt. 337ter c.c., riformato dalla Cartabia e 227 octies c.c. abrogato dal decreto legislativo n. 149/2022, come modificato dalla Legge 197/2022).

Giuridicamente, dunque, l’ascolto del minore diventa il presupposto affinché i provvedimenti giudiziari che lo riguardano non siano affetti da vizi procedurali.

Con la Riforma Cartabia sono state previste norme specifiche che riguardano sia l’ascolto del minore che la mediazione, ponendo quest’ultima espressamente nel codice di procedura civile.

Si tratta dell’art. 473bis.10 del Codice civile, il quale dispone che il giudice possa, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle, se lo ritengano, a rivolgersi ad un mediatore.

Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, ottenuto il consenso delle parti, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 473 bis 22 per consentire che si possa tentare una mediazione volta soprattutto a tutelare l’interesse morale e materiale dei figli.

Ciò non sarà possibile (art. 473 bis.43) nel caso in cui sia stata pronunciata una sentenza di condanna o l’applicazione della pena, anche in primo grado, nel caso penda un procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’art. 415 bis c.p.p., o per condotte di abusi familiari o di violenza domestica o di genere e se queste condotte emergano in corso di causa.

Tale riforma ha anche precisato nei dettagli la procedura, inserendo due norme specifiche.

L’articolo 473bis.4 c.p.c. che dispone che il minore che abbia compiuto 12 anni o più piccolo, ma capace di discernimento, venga ascoltato dal giudice ogni volta che debbano essere emanare provvedimenti che lo riguardano.

Viceversa può non essere ascoltato dal giudice, che deve motivare questa decisione con apposito provvedimento, nel caso in cui l’ascolto sia in contrasto con il suo interesse o se manifestamente superfluo, se il minore è impossibilitato per problematiche fisiche o psichiche, oppure se il minore manifesta la volontà di non essere ascoltato.

L’art. 473bis.5 c.p.c. che si occupa delle modalità di ascolto del minore, ossia se il giudice possa procedere in autonomia o con l’assistenza di esperti e ausiliari e che debba tenersi, se possibile in locali idonei, diversi dalle aule del Tribunale.

Si deve stabilire, poi, quali saranno i temi di discussione e i difensori, nonché il curatore speciale, possono chiedere di approfondire certi temi.

L’eventuale partecipazione diretta dei figli agli incontri di mediazione familiare condotti da professionisti formati nel campo psicologico, ha, accanto ad alcuni aspetti certamente positivi, una serie di rischi che, anche se valutati preventivamente, potrebbero comunque manifestarsi e che fanno propendere, nella stragrande maggioranza dei casi ad escluderli. Ad esempio, i figli potrebbero trovarsi ad assistere a nuove discussioni tra i genitori per il raggiungimento degli accordi. Oppure, i genitori potrebbero non sentirsi liberi di esprimere completamente le loro esigenze e le loro perplessità in presenza dei figli. Questi ultimi, poi, potrebbero essere sottoposti a pressioni durante l’incontro, per favorire il punto di vista dell’uno o dell’altro genitore o percepire sminuita l’autorità genitoriale.

La loro presenza agli incontri di mediazione sarebbe invece da contemplare in casi laddove il mediatore ritenga opportuno sentire la loro opinione in caso di conflittualità difficilmente gestibile o di poca chiarezza circa le reali necessità dei figli stessi.

Dott.ssa Paola Grandinetti
Mediatore Familiare